TERMOLI – Giovanni Colasurdo. Un nome e un cognome che gli appassionati del basket termolese conoscono bene. Dallo scorso anno capitano dell’Italiangas Airino Basket Termoli, dove milita ormai da diverse stagioni, vestendo la maglia con il carisma e la grinta che lo contraddistingue. Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo e di farci raccontare un po’ di lui.
La prima domanda, forse, abbastanza scontata: quando e come nasce la tua passione per la pallacanestro?
La mia passione per la pallacanestro nasce tra i banchi di scuola. Con degli amici parlavamo sempre di NBA. Dopo pochi giorni ci siamo ritrovati al campetto della Brigida per fare qualche tiro a canestro e da lì è nata una passione che è forte ora come allora.
Giochi, ormai da vari anni, nell’Airino Basket. Hai iniziato, però, in quella che prima era la società principale (per la categoria) di Termoli. Come è stato il passaggio di società?
Il passaggio è stato più semplice di quello che sembra: l’allora capitano Remo Tomei e il coach Pino Di Lembo mi hanno chiesto se volevo sposare il progetto Airino per cercare di fare il salto in serie C. La cosa mi ha subito entusiasmato e da lì è iniziata la mia avventura con la maglia gialloblu.
Sei un giocatore che ha sempre amato anche (o forse soprattutto) il playground. Differenze?
Chi mi conosce bene sa che il playground per me è tutto. La differenza sta nel fatto che non ci sono regole precise, non ci sono schemi e soprattutto non ci sono arbitri. Ognuno può esprimersi senza pesi sulle spalle. Quando si gioca per davvero si picchia duro, ma soprattutto si ricevono altrettante botte. È una sfida continua con il tuo avversario e a me, sinceramente, questo tipo di gioco mi ha sempre fatto impazzire.
Da quanti anni vesti la maglia dell’Airino? Se dovessi scegliere la stagione o la squadra a cui sei rimasto particolarmente legato, quale sarebbe?
Se non vado errato, da circa 9 anni, dal 2009. Le stagioni che ricordo con più piacere sono due: la prima in assoluto, quando abbiamo vinto la serie D, insieme al capitano Remo Tomei, Vincenzo Cicculli, Manrico Pitardi, Claudio di Pasquale e Alessandro Biasone e i più giovani come Kevin Cau, Michele Landolfi, Amalio Venditto ecc; la seconda è la stagione 2015/2016, anno in cui abbiamo vinto il campionato di serie C con il capitano Michele Bertinelli, Silvio Marinaro, Massimo Di Lembo, Guido Rinaldi, Agustin Davico. Insomma una squadra fatta di sole persone locali capaci di giocare un campionato da paura e vincere la finale anche senza Massimo Di Lembo che era il nostro play titolare. Un ricordo bellissimo e una gioia enorme.
Cosa significa essere capitano dell’Airino Basket?
Essere capitano dell’Airino Basket per me rappresenta un grande traguardo dopo una strada fatta di sacrifici, rinunce e attaccamento alla maglia. Tanta gente crede in me e l’anno scorso Manrico Pitardi e l’ex capitano Michele Bertinelli hanno deciso insieme di concedermi l’onore di questo ruolo. Da sempre ho cercato di legare con tutti i componenti della squadra e soprattutto di mantenere alto il morale del gruppo soprattutto nei momenti di difficoltà.
In campo ti contraddistingue il tuo carisma e la tua voglia di lottare sempre. Un esempio per i più giovani che vengono sempre a vederti o che giocano con te. Quali sono i consigli che daresti ad un giovane?
Ai giovani di oggi consiglio di credere sempre in loro stessi e in quello che amano. Di giocare ed allenarsi sempre come se fosse la partita più importante e soprattutto di non saltare gli allenamenti. Inoltre è importante di far capire che quando non si è in giornata, dal punto di vista realizzativo, si può dare tutto a livello difensivo e a livello di supporto morale alla squadra. Il mio motto è sempre “Never Give Up”
La stagione 2018/2019 ha visto molti cambiamenti, a partire dall’allenatore, passando per gli stranieri, fino ad arrivare ai molti under. E fino ad ora, a parte il passo falso di Torre De Passeri, pare stia andando bene. Dove può arrivare l’Italiangas in questa stagione?
La squadra ha un potenziale altissimo. Puntiamo a migliorare e a giocarci come sempre questa serie C. I due nuovi stranieri Marko e Andre si stanno ambientando bene e secondo me possono dare ancora di più alla squadra. Nicola lo conosco da tempo, è un grande giocatore di pallacanestro. Silvio Marinaro e Claudio Suriano ormai sono dei pilastri e hanno la “cazzimma” giusta. Gli under come Oriente e Ponzanesi ci danno grande energia. Per quanto riguarda il nuovo coach Massimo, penso che la sua sia proprio una vocazione. Un grande giocatore come lui è giusto, ma soprattutto una fortuna, che sia diventato allenatore e sono sicuro che anche da allenatore si toglierà le sue soddisfazioni. Ovviamente speriamo che inizi insieme a noi.
Domanda di rito: per quanto tempo ancora avremo il piacere di vederti in campo?
Questa risposta è di gran lunga la più difficile. Spero il più possibile, fin quando il fisico e gli impegni lavorativi me lo permettono io sono a disposizione. Non so per un anno o per 10, quello che è sicuro è che la voglia non manca e infatti anche in questo anno ho fatto di tutto per esserci.
Ultima domanda: il pubblico termolese, soprattutto negli ultimi anni, ha iniziato a seguirvi con maggiore costanza e passione (vedi ad esempio nei playoff di due anni fa contro Silvi o lo scorso anno a Chieti). Un pensiero?
Beh, sicuramente non posso fare altro che ringraziare tutte le persone che ogni domenica vengono a passare con noi 2 ore del loro tempo per sostenerci e farci sentire il loro supporto. Parte del nostro successo è anche merito loro: la società infatti, vedendo un afflusso di pubblico sempre maggiore, ovviamente ha cercato e sta cercando di costruire roster competitivi capaci di far divertire, sognare e tifare. Permettimi quindi di ringraziare tutti, ma in particolar modo Massimo Di Tella, perché se al palazzetto si sentono cori e mani è soprattutto grazie alla sua capacità di coinvolgere le persone presenti, dai più giovani agli adulti. Quindi, soprattutto ora che siamo tornati al PalaSabetta, voglio invitare i termolesi a vederci, tifare e divertirsi tutti insieme.
Intervista di
Francesco Martinelli